domenica 27 gennaio 2013

Decima puntata - Diario di Pechino

18 luglio 2011 - Pechino

Bevuto un po' di grappa dal lungo tappo della bottiglia. La grappa, detta liquore bianco, è forte ed è leggermente aromatica. Me la sono meritata.

Oggi avevo avuto paura di dover subito rientrare in Italia. Proprio oggi che avevo saputo che potevo rimanere all'università per un altro mese, facendo un altro corso di quattro settimane. Ero al top del top, si sentiva la mia sicurezza mentre istruivo tre bolognesi novellini, impauriti e spaesati a districarsi tra i vari edifici. Già ieri sera ero piena di speranze per il prossimo futuro qui che includeva la sicurezza del campus e la garanzia dei risultati scolastici.

E' stata una doccia fredda. Non è stato un dolore improvviso che, in quanto tale, non ti fa male, almeno al momento. No, questo è stato un continuo insinuarsi di speranze e di disillusioni, di certezze e di dubbi striscianti che ti ledono la fiducia nell'universo passo dopo passo. Ero crollata, ancora una volta, ho pianto e ho reclamato verso l'alto dove si trova qualcuno più alto di un essere umano.

La soluzione, invece, è stata istantanea. Dato che non potevo usare il bancomat che uso solitamente in Europa e la carta di credito era rimasta senza pin code, praticamente ero impossibilitata a prelevare dal mio conto. E' stata Milena, una dolce ragazza serba, a dirmi che potevo comunque pagare le spese grosse con la carta di credito.

Quanto è piccola una persona che ha perso la fiducia: io mi ero sentita meschina, una persona indegna cui veniva tesa una mano. “Dio è grande” pensavo mentre mi accingevo a raggiungere gli amici per la cena.

domenica 20 gennaio 2013

Nona puntata - Diario di Pechino

17 luglio 2011 - Pechino

Sono rientrata all'università dopo la gita di due giorni e mezza. La camera mi ha accolta con la sua familiarità, la doccia era rinfrescante come al solito. Prima non avrei potuto immaginare di trovare piacere entrare in questa stanza. Le cose cambiano, sto cambiando anch'io. Trovo, ad esempio, piacevole riavere le mie cose, la mia privacy, le cose cui mi ero abituata in queste due settimane e mezzo. Vivere lontano dai cari è duro. Tuttavia man mano che si scoprono dei piccoli piaceri come questo ritrovamento del proprio alcove, ecco che i morsi della nostalgia perdono potere. Continuano ad esserci ma non sono più loro i padroni del bello o brutto tempo.

Sono stata in gita con gli altri studenti, un giorno in Mongolia (la parte cinese) e uno a Datong, capitale dell'imperatore mongolo Wei e della sua non breve dinastia.
Tutti i popoli avevano sofferto le scelte dei loro governatori. Quelle di Wei erano le meno spiacevoli da subire; avevano solo dovuto convertirsi al buddismo. Stupendo. Farei la firma. La scelta di introdurre il buddismo nel regno della grande uguaglianza (Datong) era servita per sedare la popolazione, allora troppo turbolenta.
Era troppo tardi, quando circa cent'anni dopo, una discendente aveva capito che il popolo buddista smise sì di essere un pericolo sociale ma nel contempo smise anche di lavorare.
Sotto il cielo non lavorava più nessuno. Tutti in preghiera e meditazione. Fantastico.
Il seguito era caos, roghi, uccisioni delle guide spirituali e poi la magnificenza delle immagini dei cinque imperatori consecutivi a misura sovrumana, scavati direttamente nella roccia della montagna.
Doveva essere un evento come l'eclisse nell'Antico Egitto. Il popolo – quello scampato ai roghi – di fronte a simile monumentalità doveva sentirsi meno di uno scarafaggio.

Oggi nessuno ha tempo per domandarsi come ci si sente.

sabato 12 gennaio 2013

Diario di Pechino - ottava puntata




16 luglio 2011 Datong

Sono in un albergo a quattro stelle - dalle stalle (mongole) alle stelle (quattro) di Datong -, mi sono fatta la doccia e sto bevendo il secondo caffè da quando sono qui. Dunque sto gustando un indecente caffè liofilizzato ma la sola idea che sia gratis me la fa piacere subito. Sono scompagnata (era la cosa che più temevo in questo viaggio), non perché sono brutta, vecchia e cattiva ma semplicemente perché c'è chi sta peggio di me. Io almeno me la cavo in ogni situazione. La mia compagna di turno è giapponese. Le avevo lasciato scegliere il letto a lato finestra ma poi la prima doccia era per me. Dunque il caffè fa schifo. Mi piacerebbe correggerlo con la grappa dei mongoli. Ce l'avevano fatta assaggiare ieri e io oggi, dopo la sfacchinata matutina, me la sono comprata.

Nel programma di quelli che andavano a cavallo per non meno di due ore era prevista una visita al vicino villaggio mongolo. Io avevo portato con me una canotta nuova, troppo piccola per me, con l'intenzione di sbarattarla con qualcosa di loro. Una cosa qualsiasi, purché fosse fatta da loro. Mentre gli altri partivano a cavallo – per me di cavalcare non se ne parla, primo perché non ci provo gusto, secondo perché mi fa venire mal di schiena – dunque io e i miei compagni che avevo tirato in ballo li seguivamo a piedi.

Sarà perché la sera prima un gruppo di turisti aveva fatto arrabbiare gli organizzatori, sarà per qualche altro motivo, fatto sta che del villaggio non v'era neanche ombra. Avevamo dovuto accontentarci di due belle tende mongole allestite a bella posta per i turisti e di una giovane donna in costume tradizionale. Ci avevo impiegato metà di un secondo per capire che era questo di cui si trattava e per reprimere la mia crescente delusione avevo preso il regalo (la canotta) e l'avevo messa in mano alla mongola tradizionalista. Lei non capiva cosa stesse succedendo ma poi per l'educazione l'aveva presa e mentre a tatto cercava di capire il contenuto del sacchettino di plastica mi aveva detto un bel grazie e poi l'aveva subito messa via. La tradizione cinese trova infatti di cattivo gusto aprire i regali subito come se si volesse verificarne il valore.

Più tardi avevo cercato di chiederle della grappa locale, se c'era qualcuno che la vendeva, ma in quelle lande deserte, seppur stupende, non c'era nessuno che raccogliesse la frutta per farne della grappa e per bersela. Avevo fatto tutta sta strada per andare a finire di comprare la grappa industriale al chiosco per turisti.

Ora la stanza dove scrivo è d'un hotel a quattro stelle, ai piedi le belle pantofole imbottite dell'albergo, in bocca ancora il sapore del caffè appena bevuto. Ormai ho poche illusioni, nutro poca speranza di assaporare qualcosa di autentico in questa Datong che nove anni fa non avevo potuto visitare.

giovedì 3 gennaio 2013

Diario di Pechino - Settima puntata






15 luglio Inner Mongolia

Sono quasi ubriaca. Avrò bevuto mezza bottiglia di birra e sento già che mi basta. Sarà l'aria.

Lungo la strada, dopo i campi polverosi della Cina improvvisamente si erano dischiuse le vallate della Mongolia. Allo stesso tempo il cielo era diventato azzurro laddove tra le nubi si riusciva ad intravvedere un lembo di cielo. I campi ispiravano dedizione e amore con i loro colori variegati, mai troppo verdi, mai troppo smaglianti. Tra le nubi si scorgeva la pioggia che cadeva perché la nube non la sosteneva più e così tra un'acquazzone e il sole il pullman procedeva a velocità sostenuta. Qua e la, nei campi, uomini e donne lavoravano piegati in avanti. Le loro vesti colorate, rosso o verde, brillavano al sole.

Il campo riservato a noi è del tutto banale, fatto per i turisti. Eccezion fatta per le tende mongole, qui tutto è pacchiano, kitsch. Le tende mi piacciono, a partire dalla porticina in legno pitturato con decorazioni locali. Lungo la parete circolare un continuo intreccio di bambù. Il soffitto a cono è sorretto da lunghe liste di bambù, il cerchio in mezzo è in legno laccato rosso. C'è persino la luce elettrica: una lampadina “alla vietnamita” (vale a dire senza paralume) che illumina tutt'intorno. Il pavimento è coperto da una pedana, salvo un metro quadro scarso per chi entra. Sulla pedana è poggiato un materasso intero dove si dorme in sei. Per il momento le coperte sono piegate lungo il muro e in bel mezzo al “kang” vi è un bel tavolino basso, laccato rosso e decorato con un drago d'oro, anzì, con due draghi d'oro.

C'è la luna piena stanotte, niente Via Lattea, c'è troppa luce nel cielo. Vado a letto presto, ci alzeremo alle quattro per vedere il Sole che sorge.