sabato 31 agosto 2013

Quarantesima puntata - Diario di Pechino

20 agosto 2011 – Pechino --- E’ sabato. Sono stata a visitare il Tempio del Lama. Qui il Lama della Mongolia veniva a studiare. E’ un tempio dove, in teoria, ci sono i monaci tibetani, quelli eletti e approvati dal governo cinese. --- A guardarli sembrano proprio dei monaci. Più seri di quelli visti altrove; nel Tempio della Nuvola Bianca o in quello di Shao Lin. Altrove i monaci sono furbetti come chiunque, qui serissimi, come se dovessero confermare la loro identicità. --- Si diceva che in una delle cinque sale principali ci fosse un budda impegnato in una scena erotica, opportunamente coperto da drappeggi per non urtare la sensibilità dei visitatori. Non riuscendo a trovarlo avevo chiesto ad un monaco dove fosse la Sala della Felicità. Non mi veniva in mente la parola “felicità” e così avevo parlato di gaiezza e di divertimento senza riuscire ad ottenere risposta. Quando però pronunciai la frase 心里很高兴 (nel suo cuore è contento), il monaco spalancò gli occhi e disse: “E’ il primo palazzo”. --- Il budda era davvero coperto da drappeggi dal petto in giù, l’unica cosa che forse poteva far presagire qualcosa era il sorriso da ebete a bocca spalancata. Le labbra erano di un color vermiglio volgare. Il tutto più che erotico aveva qualcosa di surreale. --- Nell’ultima sala trovava posto un budda di legno, gigantesco e pauroso, un tronco di sandalo, dipinto di rosso, mentre in un’altra sala il budda giallo-rosso rappresentava il fondatore della setta gialla – non ne so molto di più. --- Fuori, all’altro lato della stessa strada, ho scovato un piccolo museo che custodiva pietre e legno scolpite. Poche cose rappresentanti le varie scuole, tutte autentiche, però. In Cina quello che sconcerta di più è l’uso indiscriminato di “antico” ricostruito o fatto ieri, senza segnalare ciò che è autentico, portando l’ignaro visitatore a credere di trovarsi di fronte all’antichità quando invece buona parte è pura copiatura. --- Hokusai disse che anche copiare è arte. Bene, bene, quando si tratta di un artigiano lo accetto ma qui si va ben oltre.

Quarantunesima puntata - Diario di Pechino

21 agosto 2011 – Pechino Seconda giornata di studio. Ho due esami domani e mi sto preparando a tambur battente. Ho scoperto un posticino dove mi concentro perfettamente: è la parte meno frequentata della mensa del pianterreno. Ci sono delle grandi finestre e l’aria condizionata, è del grado giusto e, proprio perché rimane scomodo perché lontano da dove servono il cibo, la gente lo ignora del tutto. Tuttavia non sono l’unica ad averla scoperta perché comunque c’è sempre gente che ci va, se non per mangiare, per studiare. Dalla mattina presto, sabato e domenica inclusi, fin quando non diventa troppo buio, li vedi a due a due a studiare. Ho capito presto di che si trattava: i tutor cinesi danno lezione di ripetizione lì. Non costa molto ed è un posto che tutti possono facilmente raggiungere. Questi tutor sono tutti uguali, dalla pettinatura alle ciabatte, il tono di voce è quello della cattedra, infatti si disturbano reciprocamente tra un tavolo e l’altro. Il primo giorno si è avvicinata una di loro, offrendomi i suoi servizi e io l’ho mandata via senza troppi complimenti. I cinesi che ho potuto osservare sono persone semplici. Hanno alcune regole di comportamento di fondo, per il resto vige la legge del più forte. Sono persone laboriose, senza troppi grilli per la testa ma anche senza troppa voglia di approfondire o di sentire qualcosa di nuovo o semplicemente conoscere qualcosa di cui non hanno bisogno. Se gli chiedi dov’è quella tal cosa, ti indicano il primo posto che gli salta in testa. Se però te ne vai senza il resto, capace che ti rincorrano anche per un chilometro per dartelo. Certo, la generazione nata sotto le buone stelle del boom economico, vale a dire i bambini, sono semplicemente insopportabili. Sono piccoli, s’infilano dappertutto e calpestano sedie e tavoli al ristorante, per non parlare delle urla e dello sgomitare sulla metrò. Altro aspetto poco simpatico è che tutti sono dotati di mezzi per fare le foto, dalla macchina fotografica al cellulare e non c’è posto che si risparmi. Non puoi ammirare un sasso senza che ci fosse un ragazzino a mettersi in posa sopra o la ragazza che sembra debba farsi il book proprio oggi e proprio nell’angolo più sperduto dove ti eri cacciato. Le ragazze hanno qualcosa di surreale, mi ricordano i primi film di fantascienza con questi silouette evanescenti. Hanno il vitino stretto e le anche strette, gambe sottili, non si capisce bene come i femori riescano a reggere le attività motorie delle gambe, per non parlare del petto e schiena quasi inesistenti cui però sono attaccate delle braccia lunghe e magrissime. Mi sono abituata alla loro cantilena, credo che mi mancheranno persino.

sabato 17 agosto 2013

Trentanovesima puntata - Diario di Pechino

19 agosto 2011 – Pechino Mancano giusto due settimane. Bazzecole. Rispetto all’oltre un mese e mezzo da quando sono qui sono davvero iniezie. Stasera ero tornata nella trattoria musulmana. Stavolta era pieno, tutti i tavoli in strada erano occupati e non solo quelli. Il termine “tutti i tavoli” non rappresentava la realtà delle cose perché, quando era arrivato un gruppo di sei-sette persone, erano saltati fuori tavoli e sedie in aggiunta a quelli già presenti. Io avevo chiesto ospitalità a una giovane coppia. Loro non mi avevano respinta ma nemmeno incoraggiata a farlo. Mi sono quindi accontentata di una sedia in fondo al loro tavolo e, dato che il loro gradimento era al minimo, avevo preso il telefonino e con disinvoltura avevo chiamato mio figlio. Lui, almeno, era felice di sentire la mia voce. Gli avevo raccontato in diretta che mi trovavo in mezzo a una brigata rumorosa che ben si percepiva a dodicimila chilometri di distanza. La giovane coppia si era tolta ben presto dai piedi e, al loro posto, era arrivata una giovane famiglia con bimba di un anno circa. Come vuole la tradizione la bimba non solo non aveva il pannolino ma nemmeno le mutandine e il suo culetto s’appoggiava spesso al tavolo. Per fortuna dal loro lato. Questa famiglia veniva dalla Mongolia Interna, alle normali difficoltà della lingua s’era aggiunta la pronuncia di lui che chiacchierava volentieri. Mi chiedeva dell’Italia di cui aveva visto qualcosa in TV e mi confermava il mio sospetto che la Repubblica Mongola aveva ben altro per la testa che unirsi alla Cina. Mi sentivo a mio agio, anche prima del loro arrivo, ma poi il tempo era volato. Per accelerare il rientro a casa avevo preso l’autobus che mi doveva portare vicino. All’ultimo momento, però, l’autobus aveva girato verso oriente e, seppur scesa subito alla prima fermata possibile, mi era toccato fare un chilometro a piedi.

martedì 13 agosto 2013

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sabato 10 agosto 2013

Trentottesima puntata - Diario di Pechino







18 agosto 2011 – Pechino

Oggi è tornato il sereno, di nuovo. Cielo azzurro come se fosse la cosa più normale di questo mondo rasserenarsi del tutto dopo una giornata di pioggia preceduta a sua volta da un giornata completamente limpida.

E il cielo di Pechino è tornato ad essere blu, il sole scaldava i cuori, gli uccelli e le cicale facevano le loro gare di canto.

Una sola persona non gioiva: Daniele. Avevano sbagliato la scadenza del suo visto e per rinnovarlo non c’era abbastanza tempo, di conseguenza doveva posticipare la partenza di almeno tre giorni.

Ho letto la disperazione sul suo viso, qualcosa che si avvicinava a quello che provavo io quando la speranza di rientrare in anticipo si allontanava sempre di più, lasciandomi in balia a pensieri allucinanti sempre più deprimenti.

Vederlo soffrire per la stessa pena mi aveva fatto scattare sentimenti contrapposti: da una parte una gran voglia di aiutarlo, dall’altra una sottile gioia di non essere io colui che soffre.

sabato 3 agosto 2013

Trentasettesima puntata - Diario di Pechino





17 agosto 2011 – Pechino

Dopo la giornata stupenda di ieri oggi è di nuovo nuvoloso. Il sole non si è visto tutto il giorno, la pioggia invece sì e la temperatura si è abbassata sensibilmente. Già da tempo notavo che la sera il sole calava presto, sempre più presto, ma oggi c’era addirittura un’aria autunnale come se il gran caldo non dovesse tornare mai più.

Mai più – che parole aggressive! Persino quando penso che in questo Paese non metterò più piede, mai più, insomma mi correggo sempre dicendo: “A meno che non si tratti di una cosa di notevole interesse, credo proprio che questa sia l’ultima volta che vengo qui.” Sono prudente: mi ero tanto entusiasmata all’idea di venire, non vorrei entusiasmarmi allo stesso modo del non tornarci più. “Non metter limite alla provvidenza” è un buon consiglio anche se il mio è più un atteggiamento di permissivismo che di credo.

Stavolta l’ho sbagliata grossa e vorrei, se non altro, imparare dal mio errore. Oltretutto l’averla sbagliata grossa non è esattamente la prima volta che mi succeda.