sabato 17 agosto 2013

Trentanovesima puntata - Diario di Pechino

19 agosto 2011 – Pechino Mancano giusto due settimane. Bazzecole. Rispetto all’oltre un mese e mezzo da quando sono qui sono davvero iniezie. Stasera ero tornata nella trattoria musulmana. Stavolta era pieno, tutti i tavoli in strada erano occupati e non solo quelli. Il termine “tutti i tavoli” non rappresentava la realtà delle cose perché, quando era arrivato un gruppo di sei-sette persone, erano saltati fuori tavoli e sedie in aggiunta a quelli già presenti. Io avevo chiesto ospitalità a una giovane coppia. Loro non mi avevano respinta ma nemmeno incoraggiata a farlo. Mi sono quindi accontentata di una sedia in fondo al loro tavolo e, dato che il loro gradimento era al minimo, avevo preso il telefonino e con disinvoltura avevo chiamato mio figlio. Lui, almeno, era felice di sentire la mia voce. Gli avevo raccontato in diretta che mi trovavo in mezzo a una brigata rumorosa che ben si percepiva a dodicimila chilometri di distanza. La giovane coppia si era tolta ben presto dai piedi e, al loro posto, era arrivata una giovane famiglia con bimba di un anno circa. Come vuole la tradizione la bimba non solo non aveva il pannolino ma nemmeno le mutandine e il suo culetto s’appoggiava spesso al tavolo. Per fortuna dal loro lato. Questa famiglia veniva dalla Mongolia Interna, alle normali difficoltà della lingua s’era aggiunta la pronuncia di lui che chiacchierava volentieri. Mi chiedeva dell’Italia di cui aveva visto qualcosa in TV e mi confermava il mio sospetto che la Repubblica Mongola aveva ben altro per la testa che unirsi alla Cina. Mi sentivo a mio agio, anche prima del loro arrivo, ma poi il tempo era volato. Per accelerare il rientro a casa avevo preso l’autobus che mi doveva portare vicino. All’ultimo momento, però, l’autobus aveva girato verso oriente e, seppur scesa subito alla prima fermata possibile, mi era toccato fare un chilometro a piedi.

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